Relatore/Relatrice


Gabriele Chelini

Università degli Studi di Trento

Attività


Correlati sinaptici della neurodiversità. A che punto siamo? Dove stiamo andando?


Interviene: Gabriele Chelini (Istituto di Neuroscienze, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa e Centro Interdipartimentale Mente E Cervello, Università di Trento)


Tutti gli esseri viventi sono dotati di un patrimonio genetico che ne determina i tratti somatici. La predisposizione genetica, tuttavia, non agisce mai in solitudine; essa interagisce continuamente con le variabili ambientali che circondano l’individuo. Tra tutti i tessuti, il tessuto cerebrale è più soggetto degli altri alle influenze del mondo esterno. Le cellule nervose, infatti, hanno la straordinaria capacità di modificare le proprie connessioni -le sinapsi- in risposta a stimoli esterni, conferendo al cervello l’abilità di cambiare la propria conformazione per adattarsi all’ambiente. Questa prerogativa va sotto il nome di plasticità sinaptica. Numerosi studi, nelle ultime due decadi, hanno suggerito un ruolo chiave della plasticità sinaptica nella patogenesi dei disturbi psichiatrici. Connessioni mancate, sinapsi immature o “troppo mature”, sono state rinvenute (port-mortem) nel cervello di pazienti con diagnosi psichiatriche. È sempre più utilizzato quindi il concetto di sinaptopatia per riferirsi a tutti quei disordini del cervello che affondano le radici nelle aberrazioni a carico del patrimonio sinaptico. Ricerche più recenti, inoltre, stanno portato alla luce numerose cause di natura genetica e ambientale che contribuiscono in maniera indiscutibile a favorire tali anomalie. Stiamo quindi assistendo alla teorizzazione di una “logica sinaptica” delle patologie psichiatriche? Stiamo forse approcciando la possibilità di curare il paziente psichiatrico trattando le anomalie dei meccanismi sottostanti la plasticità sinaptica? Occorre, forse, ragionarci un momento, da clinici, da scienziati, da esseri umani...
Se ci pensiamo bene, la connettività del cervello è alla base delle nostre scelte, della personalità, delle nostre emozioni; definisce, di fatto, che cosa siamo come individui. Possiamo quindi parlare di aberrazioni e alterazioni della plasticità senza cadere nella trappola dello stigma? Abbiamo davvero il diritto e gli strumenti per giudicare la “plasticità buona” e quella “cattiva”? Dunque, secondo questa logica, quali sono i confini della neurodiversità? Esiste davvero l’individuo neurotipico?
Nella visione ottimistica di un ricercatore c’è la speranza di poter coadiuvare la plasticità ad ottimizzare il benessere delle persone, senza per questo eliminare o distruggere le differenze e specificità individuali che costituiscono la base della neurodiversità tipica della specie umana.

Relatori: Gabriele Chelini

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